Un passo positivo per fare fronte ai cambiamenti climatici, con alcune criticità

L’Italia si trova di fronte a sfide significative legate ai cambiamenti climatici, tra cui l’aumento di una serie di rischi naturali: riduzione delle risorse idriche, fenomeni di dissesto idrogeologico, alluvioni, incendi boschivi ed erosione delle coste. L’incremento delle temperature e l’intensificarsi degli eventi estremi hanno infatti amplificato tali rischi, con un aumento del 9% della probabilità del rischio da eventi estremi negli ultimi vent’anni (CMCC, 2020).

In aggiunta, l’Italia si trova in un’area particolarmente vulnerabile ai cambiamenti climatici, il cosiddetto “hot spot mediterraneo”: in quest’area è stato registrato un aumento delle temperature del 20% superiore a quello globale (MedECC, 2020).

In risposta a queste sfide, il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica ha recentemente approvato il Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici (PNACC) a gennaio. Il piano rappresenta uno strumento cruciale “contenere la vulnerabilità dei sistemi naturali, sociali ed economici agli impatti dei cambiamenti climatici e aumentarne la resilienza”

Cosa prevede il Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici (PNACC) 

Il PNACC fornisce un quadro giuridico di riferimento e analizza dettagliatamente l’andamento climatico in Italia, identificando gli impatti dei cambiamenti climatici e le vulnerabilità settoriali. 

Sulla base di quest’analisi, il documento fornisce una serie di interventi per l’adattamento. Le azioni sono articolate su due livelli: uno “sistemico” – incentrato sulla costruzione di un contesto organizzativo e sulla definizione di una struttura di governance – e uno “di indirizzo” – le vere e proprie misure di adattamento.

Sono elencate 361 misure nazionali o regionali suddivise in 18 settori: acquacoltura, dissesto geologico, idrologico e idraulico, desertificazione, ecosistemi delle acque interne e di transizione, ecosistemi marini, energia, ecosistemi terrestri, foreste, industrie e infrastrutture pericolose, insediamenti urbani, patrimonio culturale, pesca marittima, agricoltura, risorse idriche, salute, trasporti, turismo, zone costiere. 

Le misure di adattamento sono classificate in 3 categorie: azioni “soft” che comprendono sviluppo organizzativo e istituzionale, azioni “green” con approccio ecosistemico e soluzioni basate sulla natura e“grey”, che prevedono interventi infrastrutturali e tecnologici. 

La realizzazione di tali azioni richiede un finanziamento significativo, per il quale il PNACC si affida principalmente a fondi europei come il Programma LIFE, il Fondo europeo per lo sviluppo regionale, il Fondo sociale europeo, Urban Innovative Actions, Horizon Europe, la Pac (Politica agricola comune).

I limiti del PNACC

Nonostante i passi positivi intrapresi con il PNACC, alcune criticità emergono durante l’analisi. Il piano risulta carente dal punto di vista operativo, poiché fornisce un quadro di indirizzo senza indicazioni vincolanti. Delle 361 soluzioni, la maggior parte (76%) è classificata come “soft”, quindi non strutturale. Un settore cruciale come quello del dissesto idrogeologico ad esempio, non ha prevede misure struttura, nonostante il 94% dei comuni italiani sia a rischio.

Inoltre, mancano dettagli sui costi e sulle fonti di finanziamento specifiche per molte azioni, compromettendo la valutazione della fattibilità e del rapporto costi/benefici. Nonostante il PNACC rappresenti un primo passo, è evidente la necessità di integrare l’adattamento ai cambiamenti climatici nella programmazione sociale ed economica del Paese.

In conclusione, sebbene il PNACC rappresenti un passo positivo, l’Italia deve affrontare ulteriori sfide per implementare efficacemente le misure di adattamento, garantendo una strategia completa e sostenibile nel lungo termine.