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In Europa siamo responsabili del 16% della deforestazione mondiale. Come? Lo siamo in quanto consumatori, che ogni giorno acquistano e consumano cibi la cui produzione può aver contribuito al disboscamento e al degrado forestale in altre parti del mondo.  Questa deforestazione fuori dai confini dell’Ue è quindi indirettamente collegata alla produzione di alcune materie prime, specialmente di carne bovina, soia, olio di palma, caffè e cacao. Con la proposta di Regolamento “Deforestazione Zero”, l’Europa introduce nuovi obblighi di tracciabilità e trasparenza delle filiere per le aziende che importano e trasformano manzo, legno, olio di palma, soia, caffè, cacao e alcuni loro derivati, ad esempio pelle, cioccolato e mobili.

In questa nuova serie di approfondimenti, scopriamo più da vicino le cinque agro-commodities che stanno facendo discutere l’Europa e rimettendo in discussione il ruolo del legno e il suo contributo, non più esclusivo, al fenomeno della deforestazione tropicale.

I settori agroalimentari la cui produzione e il cui consumo contribuiscono maggiormente al disboscamento e al degrado forestale sono l’industria dell’olio di palma in Asia e la soia e l’allevamento dei bovini in America Latina. Ma i dati relativi alla produzione del cacao rivelano impatti altrettanto incisivi: secondo un recente studio della ONG americana Mighty Earth, negli ultimi decenni il Ghana e la Costa d’Avorio hanno perso circa un terzo delle rispettive superfici boschive per far posto alle coltivazioni di cacao. Dietro l’industria dolciaria del cioccolato si nasconde una filiera minata di criticità legate alla deforestazione, disuguaglianze salariali e lavoro minorile.

Un po’ di storia

L’albero del cacao (Theobroma Cacao, dal latino: Theo=Dio e Broma = Cibo, Cibo degli Dei) è una specie con origini antichissime: studi archeologici in Costa Rica hanno dimostrato come il cacao fosse consumato come bevanda dai Maya già nel 400 a.C. Coltivato esclusivamente nelle regioni equatoriali delle Americhe, il cacao si è poi diffuso, a partire dal VIII secolo, nelle isole dell’Oceano Indiano e sulle coste dell’Africa occidentale, in particolare nella colonia inglese della Gold Coast, oggi Ghana, e in Costa d’Avorio, che divennero in seguito le più grandi produttrici di cacao del mondo. In Europa, l’arrivo e la diffusione del cacao li dobbiamo presumibilmente a Cristoforo Colombo: nel nostro continente il cacao è stato dapprima usato come merce di scambio (i semi), per poi diventare una tipica bevanda servita durante le cerimonie ufficiali ed infine, nell’Ottocento, si è diffuso come prodotto trasformato grazie a tecniche di produzione sempre più raffinate. Queste tecniche hanno gradualmente trasformato i frutti del cacao in prodotti via via più simili a quello che intendiamo noi oggi come cioccolato.

Coltivazione del cacao 

L’albero del cacao è una pianta molto delicata che non ama la luce diretta del sole e gli sbalzi di temperatura: cresce infatti in condizioni climatiche tra i 25-35°C e ha bisogno di piogge abbondanti con conseguente elevata umidità, dal 70° al 100%. L’habitat tipico di questa pianta è quello degli ecosistemi forestali tropicali. La pianta del cacao vive preferibilmente all’ombra di altri alberi, che possono essere destinati alla produzione di legname o di frutta. Ci vogliono circa 5 anni perché la pianta inizi a dare frutti ed il periodo di produzione può continuare per 30 anni. Negli ultimi decenni, le tradizionali varietà di cacao – come la Amazons e Amelonado – sono state gradualmente sostituite da nuove varietà ibride che, rispetto alle prime, presentano una maggior resistenza al sole e rendimenti più alti nel breve periodo (producono cioè più baccelli in età precoce e più baccelli per albero). Queste varietà di cacao hanno però prestazioni inferiori a quelle delle varietà più tradizionali sul lungo periodo, necessitano di condizioni climatiche ottimali e di pratiche agricole complementari, tra cui l’utilizzo massiccio di pesticidi e fertilizzanti (con possibili conseguenze sull’inquinamento del suolo e delle risorse idriche), una potatura costante e più manodopera. Poiché la varietà ibrida non necessita di alcuna copertura forestale e allo stesso tempo la resa nel lungo periodo è inferiore, le superfici destinate alla produzione di cacao sono aumentate in maniera considerevole. Questo incremento della superficie coltivata è avvenuto spesso attraverso la tecnica “slash and burn” di foreste vergini, con la conseguente perdita di biodiversità ed un generale impoverimento dei suoli. Nel 2020, il tasso di deforestazione causato dal cacao ha segnato un picco nelle riserve forestali e nei parchi nazionali: secondo un’inchiesta pubblicata dal Guardian sulla Costa d’Avorio, ci sono da una parte interi villaggi di agricoltori del cacao che occupano illegalmente zone protette, e dall’altra funzionari delle forze dell’ordine locali che regolarmente prendono delle tangenti per non denunciare queste infrazioni.

 

Filiera del cacao

Il cacao proviene dai fiori della pianta omonima che crescono sul tronco e sui rami principali. Solo una parte dei fiori, circa l’1%, si trasforma poi in frutti, detti cabosse, di forma ovato-oblunga e di lunghezza e colore variabili.  I semi di cacao, contenuti all’interno della cabossa, sono prima raccolti manualmente dai produttori, spesso piccoli coltivatori, attraverso strumenti quali il machete o il “ferro da cacao”, per poi essere liberati dalla mucillagine bianca che li avvolge e sottoposti al processo di fermentazione (le fave sono ammassate in mucchi protetti con foglie di banano o poste in casse di legno) ed essicazione (nei forni o su vassoi che saranno poi lasciati al sole per circa una settimana). I semi vengono poi esportati sotto diverse forme: fava intera o spezzata, grezza o tostata.

Alla base di questo delicato processo a mano, ci sono circa cinque milioni di piccoli e medi coltivatori nei paesi in via di sviluppo e, dall’altro lato, miliardi di consumatori finali. Al centro di quello che viene definito “un caso estremo di struttura a clessidra”, ci sono pochi player internazionali (enormi società di trading e di prima e seconda trasformazione) che controllano la distribuzione e trasformazione a livello globale, seguiti da migliaia di altri piccoli e medi commercianti e artigiani del cioccolato. Una struttura che si riflette anche nella suddivisione degli introiti. Secondo il World Economic Forum, a livello globale, più dell’80% dei ricavi derivanti dalla filiera del cacao sono destinati ai grandi produttori e commercianti, mentre, ai piccoli coltivatori, che rappresentano la stragrande maggioranza degli attori della filiera, spetterebbe non più del 6,6% dei guadagni totali. In questo tipo di filiera, garantire che il cacao che noi consumiamo quotidianamente non sia legato a fenomeni di deforestazione e degrado forestale non è sicuramente una cosa semplice. Alcune denunce sulla deforestazione legata all’industria del cioccolato arrivano da due inchieste condotte dal The Guardian e dall’organizzazione per la difesa dell’ambiente Mighty Earth in Costa d’Avorio secondo cui i commercianti locali (middle men), che vendono alle multinazionali di cacao, acquisterebbero dai piccoli agricoltori fave di cacao coltivate illegalmente all’interno delle aree protette o dei parchi nazionali del paese. Il prodotto illegale verrebbe poi mescolato, nelle varie fasi della filiera, con le fave di cacao prodotte legalmente. Ne risulta che molti prodotti trasformati in barrette o cioccolatini potrebbero includere cacao illegale.  Un approvvigionamento 100% legale e sostenibile, risalendo a tutte le fattorie in cui le fave vengono acquistate fisicamente, richiede dunque una due diligence ferrea, con standard “segregati”, cioè di approvvigionamento da gruppi di agricoltori conosciuti, sistemi di mappatura e monitoraggio avanzati, partnership con enti di certificazione e altri standard a gestione indipendente e infine strategie volte a migliorare i mezzi di sostentamento degli agricoltori, proteggere i diritti dei bambini e salvaguardare l’ambiente. In questo senso, il settore del cacao ha visto la nascita più di 20 anni fa di numerosi standard volontari di sostenibilità (per esempio Rainforest Alliance, Fairtrade e Cocoa Horizons) con l’obiettivo di offrire ai consumatori opzioni di acquisto più sostenibili.

Produzioni e consumi di cacao nel mondo e in Italia  

Ad oggi quasi il 70% del cacao mondiale cresce in Africa; una buona parte proviene dalla Costa d’Avorio, primo produttore al mondo, cui seguono Ghana, Indonesia, Brasile, Nigeria, Camerun, Ecuador, Repubblica Dominicana, Colombia e Messico. L’Europa è la prima regione al mondo per lavorazione ed esportazione, con la più alta domanda industriale di fave. Secondo l’agenzia americana di market intelligence Fior Markets, nel 2020, l’Europa deteneva la maggiore quota (45%) del mercato globale. Secondo ComTrade, nel 2020 l’Italia è risultata tra le prime 10 importatrici mondiali e tra le prime 5 europee di fave di cacao, con un valore di circa 300 milioni di euro. Oltre il 40% di queste importazioni proveniva dalla Costa d’Avorio, ed il 18% dal Ghana. Questi ultimi dati, unitamente a dati sulla deforestazione incorporata che Etifor ha rielaborato basandosi sulla metodologia sviluppata da Pendrill, ci aiutano a capire ancora meglio la nostra responsabilità nel fenomeno della deforestazione. Nel periodo compreso tra il 2007 ed il 2017, l’import italiano di cacao ha provocato una perdita annuale media di circa 1221,626021 di ettari di foresta, classificandosi al sesto posto nella classifica delle economie europee con il maggior peso sulla deforestazione collegata alle importazioni di cacao dai paesi tropicali.

Come dovrebbe essere una coltivazione di cacao sostenibile?

Una produzione di cacao che sia sostenibile e nello stesso tempo migliori il reddito dei coltivatori, aumenti la resilienza dei sistemi di coltivazione nei confronti dei cambiamenti climatici e delle malattie si deve basare su sistemi agroforestali, cioè piantando alberi da ombra nelle piantagioni di cacao. Attraverso l’incremento della densità degli alberi per ogni ettaro di terreno coltivato a cacao, utilizzando diverse varietà di alberi da legname, leguminosi e da frutta, si realizza il rimboschimento e parallelamente si diversifica l’economia delle famiglie di agricoltori, creando forme di reddito supplementari grazie alla vendita dei prodotti agroforestali degli alberi piantati (ad esempio l’avocado). Inoltre, grazie a una maggiore varietà di specie, si incrementa la resistenza delle piante nei confronti dei cambiamenti climatici e delle malattie e si migliora la qualità del terreno. Attraverso il conseguente minore fabbisogno di fertilizzanti e grazie agli introiti derivanti dal sequestro del CO degli alberi, aumentano i redditi mensili dei contadini, che non sono così più costretti a disboscare altre superfici della foresta.

Quali sono le responsabilità delle imprese nella deforestazione dei paesi tropicali?

E le implicazioni delle nuove misure europee per la tua azienda?

Bibliografia

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Fotografie

  • Contadina del cacao nella Bobiri Forest Reserve (Ghana), Luglio 2019. Autore: Elena Massarenti
  • Essiccazione al sole delle fave di cacao, Bobiri Forest Reserve (Ghana), Luglio 2019. Autore: Elena Massarenti