Come l’overtourism sta cambiando il volto del turismo e cosa possiamo fare per contrastarlo.

10 minuti
Overtourism: una sfida per il futuro del turismo

Chi si vanta di aver coniato il termine è la testata online su viaggi e turismo Skift nel lontano 2016, spinti dalla preoccupazione che i flussi turistici annuali avessero raggiunto il miliardo. Il dato record è stato toccato nel 2019, con 1,46 miliardi di turisti internazionali. La ripresa, però, è arrivata prima del previsto: il 2023 ha raggiunto l’89% dei livelli pre-Covid. Con tutto il dibattito attorno all’overtourism, o all’anti-turismo, ci si potrebbe iniziare a chiedere se un ritorno ai livelli pre-Covid sia davvero desiderabile.

Per chi ama le classifiche, a dimostrazione di quanto il dibattito sia ormai diffuso, anti-tourism è stato candidato (senza vincere) a parola dell’anno 2024 dal famoso Collins Dictionary, preceduto dall’Oxford Dictionary nel 2018.

Intanto, uno studio di Google Think ci avvisa, con un certo entusiasmo, che al 2040 i viaggiatori internazionali saranno 2,4 miliardi.

Cosa si intende per Overtourism? Una definizione 

Il turismo è un fenomeno globale e complesso, che sicuramente non possiamo fermare ma che possiamo (e dobbiamo) governare. Di fronte a questi numeri, viene però da chiedersi: come fare? Ne parliamo più avanti.

Consideriamo la definizione ufficiale della UN Tourism sull’overtourism, che lo descrive come: “L’impatto del turismo su una destinazione, o su parti di essa, che influenza eccessivamente in modo negativo la qualità percepita della vita dei cittadini e/o la qualità delle esperienze dei visitatori.”. In sostanza, l’overtourism non piace né ai residenti né ai turisti. E in italiano? “Sovraffollamento turistico” sembra la traduzione più utilizzata, anche se la questione va oltre il mero fattore numerico.

Problemi storici e capacità di carico

Fenomeni di avversione ai turisti ci sono sempre stati, così come dibattiti sulla mercificazione di natura e cultura da parte dell’ ”industria” turistica, sulla perdita di autenticità, sulla differenziazione (ormai obsoleta) tra turisti e viaggiatori. Non sono nuovi nemmeno i discorsi sulla capacità di carico (carrying capacity) delle destinazioni, definita dalla UN Tourism come: “”Il numero massimo di persone che possono visitare una destinazione turistica contemporaneamente, senza causare danni all’ambiente fisico, economico e socioculturale e senza determinare una diminuzione inaccettabile della qualità della soddisfazione dei visitatori.”.

Interessante notare che la capacità di carico può essere sia fisica, quindi misurabile, sia legata a fattori sociali e di percezione (si veda l’irritation index, o irridex teorizzato da Doxey, che misura il grado di sopportazione dei residenti nei confronti del turismo). Quel che è certo è che non esistono numeri magici oltre i quali non spingersi, e che la ricerca di un equilibrio deve essere costante e ben gestita. Il turismo si presenta come una continua contraddizione, sintomo del fatto che esso non sia un settore (men che meno un’industria), ma un sistema  complesso.

L’evoluzione del viaggio e la democratizzazione

I cambiamenti strutturali, come l’avvento delle linee aeree low-cost e delle piattaforme di affitti brevi, hanno portato a quella che alcuni chiamano “democratizzazione del viaggio”, ormai percepito (e definito) come un diritto. Negli ultimi anni, fenomeni di sovraffollamento, uso eccessivo delle risorse e conflitti tra residenti e turisti sono diventati particolarmente evidenti.

Tuttavia, prendersela con i turisti (tutti abbiamo visto le foto di quest’estate con i residenti che puntavano pistole ad acqua contro i turisti a Barcellona) è solo “una soluzione individuale a un problema sistemico”.

Quali sono le cause dell’Overtourism?

I cambiamenti tecnologici, come l’ascesa delle compagnie aeree low-cost, le infrastrutture che favoriscono la mobilità, le Online Travel Agencies e le piattaforme di prenotazione, insieme a un maggiore accesso all’informazione e al ruolo dei social media come vetrina dei luoghi, hanno ampliato i flussi e cambiato la frequenza e le modalità di viaggio. A ciò si aggiungono trasformazioni socio-economiche: cambiamenti nel mondo del lavoro, diversa disponibilità economica (con una classe media sempre più in grado di viaggiare), maggiore indipendenza nell’organizzazione del proprio viaggio.

Il viaggio si è “democratizzato”. Contribuisce anche la promozione delle destinazioni, fatta in modo più o meno aggressivo e più o meno consapevole (o subìta): esistono campagne di marketing mirate, ma anche pubblicità “inaspettata”, come quella veicolata sui social media e dagli influencer. Il rischio, spesso concretizzato, è la crescita della popolarità di poche mete visitate da moltissimi, i cosiddetti “hotspot” turistici (che possono essere città, laghi o altre attrazioni).

Anche la stagionalità è un’altra possibile causa di overtourism, concentrando un grande flusso di visitatori in brevi periodi. Come accennato, la concentrazione dei flussi in poche mete “must-see” peggiora il problema.

Overtourism come percezione

Se consideriamo l’overtourism come un fenomeno che va oltre i numeri, potremmo definirlo come un nuovo rapporto tra la comunità residente e quella dei turisti. In questo senso, le cause risiedono anche in una nuova consapevolezza da parte dei residenti: il turismo non è sempre positivo e può alterare gli equilibri di un luogo al punto da renderlo irriconoscibile. Lungi dall’essere la “smokeless industry” celebrata nei libri di testo turistici degli anni ’80, il turismo ha impatti tangibili sui territori, positivi e negativi, e una certa massa critica sta iniziando a renderlo noto.

Gestione inefficace e mancanza di pianificazione

Un’altra causa rilevante è la gestione inefficace – o l’assenza di gestione – delle destinazioni. L’overtourism è quindi un sintomo, non la malattia, di processi avviati da tempo e peggiorati dalla mancanza di monitoraggio e gestione.

Vista la complessità del fenomeno, affrontarlo e provare a misurarlo richiede dati sia quantitativi che qualitativi. Inoltre, fattori difficilmente controllabili dalla destinazione, come la domanda turistica in rapido mutamento, contrastano con l’offerta (il territorio), che richiede più tempo per adattarsi. 

Quali sono le conseguenze dell’Overtourism?

  • Uso eccessivo delle risorse, con perdita di biodiversità a causa dello stress sugli ecosistemi e conflitti sull’uso delle stesse (ad esempio acqua ed energia).
  • Pressione su servizi e infrastrutture (gestione dei rifiuti, sanità, trasporti), congestione, inquinamento acustico e atmosferico, specialmente in aree naturali o culturali sensibili.
  • Dipendenza economica dal turismo, che rende vulnerabili alle fluttuazioni stagionali e alle crisi globali.
  • Disuguaglianza economica: i benefici del turismo spesso rimangono nelle mani di pochi, mentre le comunità locali restano ai margini.
  • Riduzione della qualità dell’esperienza turistica, con impatti negativi sul valore economico a lungo termine.

L’impatto sulle comunità locali

Oltre a questi effetti misurabili, il turismo modifica città e quartieri, portando a gentrificazione, aumento dei costi e riduzione dell’accessibilità economica alle abitazioni (fenomeno secondo i più legato al dilagare degli affitti brevi). Questo deteriora la qualità della vita dei residenti, al punto che alcuni non riconoscono più i luoghi che chiamano casa. Il rischio è la perdita del tessuto culturale e sociale, ossia gli stessi elementi che rendono un luogo vivo e attraente.

Si tratta di una delle principali contraddizioni del turismo: dal momento in cui un luogo viene “scoperto”, rischia di perdere l’autenticità e l’integrità ambientale e culturale che avevano attirato i visitatori. Questo fenomeno, noto come “mercificazione della cultura”, evidenzia il rapporto conflittuale tra residenti e turisti. Si tratta di un indicatore soggettivo e specifico per ogni luogo, difficile da standardizzare o misurare senza un coinvolgimento e un ascolto continui delle comunità locali.

Alcuni esempi di Overtourism

Un esempio emblematico di overtourism è Venezia, dove l’enorme afflusso di visitatori ha messo sotto pressione sia il delicato ecosistema della laguna sia la qualità della vita dei residenti. Tra le misure adottate per contrastare il fenomeno spicca l’introduzione di una tassa di ingresso per i turisti giornalieri. Sebbene questa iniziativa rappresenti un primo passo (dibattuto) verso una gestione più consapevole dei flussi, da sola non è sufficiente: per affrontare il problema servirebbe un piano di Destination Management più ampio, che integri strategie di pianificazione a lungo termine e coinvolga le comunità locali.

Il fenomeno, tuttavia, non si limita all’Italia. Barcellona, ad esempio, ha già introdotto restrizioni sugli affitti brevi per ridurre la gentrificazione e migliorare l’accessibilità abitativa per i residenti, e ha in cantiere una stretta ancora più dura a partire dal 2028.

Anche a Machu Picchu, in Perù, sono state fissate limitazioni al numero giornaliero di ingressi per preservare il sito archeologico e il suo contesto ambientale.

Ad Amsterdam, invece, tra le varie misure ci sono un aumento della tassa turistica (ora la più alta in Europa), una limitazione (già da tempo) sul numero di nuove licenze a negozi “acchiappa-turisti” e, a breve, una soglia massima al numero di navi da crociera ammesse.

Questi esempi evidenziano come le misure adottate siano varie, ma spesso emergenziali e limitate a interventi specifici. Per contrastare davvero l’overtourism, è necessario un approccio pianificato e strutturato, capace di prevenire le criticità anziché doverle gestire a posteriori.

Come gestire l’Overtourism?

Una delle soluzioni più frequentemente proposte per affrontare l’overtourism è la distribuzione dei flussi turistici. Tuttavia, delocalizzare non basta: è fondamentale fornire strumenti gestionali e organizzare adeguatamente le nuove destinazioni per garantire che il territorio sia pronto ad accogliere i visitatori. Allo stesso modo, la destagionalizzazione rappresenta un’altra strategia spesso citata, ma pone interrogativi pratici: come attuarla in un Paese come l’Italia, caratterizzato da una tradizionale concentrazione delle ferie nelle settimane di agosto? 

Le misure emergenziali, come limitare gli accessi (Venezia ne è un esempio emblematico), regolamentare gli affitti brevi (Barcellona) o persino introdurre coprifuoco e multe per comportamenti irrispettosi, dimostrano i limiti di un approccio reattivo. Serve agire a monte, organizzando le destinazioni con un corretto approccio di Destination Management.

Elementi chiave per una gestione efficace

Gestire al meglio le destinazioni turistiche non è semplice, ma alcune linee guida possono favorire un turismo più sostenibile. Prima di tutto, servono dati affidabili: strumenti come dashboard digitali e sistemi di gestione avanzati aiutano a comprendere il territorio e pianificare interventi mirati.

La collaborazione è fondamentale: pubblico e privato devono lavorare insieme, coinvolgendo cittadini e amministrazioni locali in un approccio di “turismo di territorio.” Allo stesso modo, formare professionisti orientati alla sostenibilità è essenziale per affrontare le sfide attuali e proporre soluzioni innovative.

La sostenibilità deve essere il fulcro di ogni strategia, equilibrando aspetti economici, ambientali e sociali. Per riuscirci, è indispensabile ascoltare e coinvolgere le comunità locali, trasformando il turismo in un’opportunità condivisa. Infine, ogni destinazione deve valorizzare la propria unicità, imparando dai successi di altri territori per adattare idee e soluzioni alle sue specificità.

Un cambio culturale per il futuro del turismo

Per affrontare davvero l’overtourism, è necessario un cambio culturale: riconoscere che il turismo non è un settore o un’industria, ma un fenomeno complesso che si evolve con la società. L’adeguamento dei modelli di gestione alle sfide del nostro tempo, come il rapporto tra turisti, residenti e risorse, è la chiave per un futuro turistico sostenibile.

Progetti di gestione sostenibile

Un esempio pratico è il progetto Smart Tourism Destination finanziato nel Veneto con fondi regionali FESR. Questo progetto ha mostrato come l’evoluzione verso una destinazione smart non riguardi solo la digitalizzazione, ma anche il miglioramento della governance e il rafforzamento del sistema gestionale integrato. Un altro esempio è la città di Siena, che ha intrapreso un percorso di certificazione per strutturare il proprio modello di gestione sostenibile. A livello nazionale, l’Italy Working Group GSTC riunisce attori che collaborano per definire linee guida comuni, contribuendo a salvaguardare il pianeta e le destinazioni.

Certificazione GSTC: una risposta concreta per un turismo più sostenibile

Per contrastare gli effetti negativi dell’overtourism e promuovere un modello di sviluppo turistico più responsabile, la certificazione GSTC rappresenta un’opportunità concreta. Etifor supporta destinazioni e operatori turistici nel percorso verso la certificazione GSTC, garantendo standard elevati di sostenibilità ambientale, economica e sociale. Intraprendere il percorso verso la certificazione vuol dire innescare un processo (partecipato) di miglioramento continuo, che porta la destinazione ad interrogarsi non solo su tematiche socio-culturali, economiche ed ambientali, ma anche e soprattutto sull’assetto di governance e management della destinazione. Scopri come possiamo aiutarti a valorizzare il tuo territorio rispettandone i limiti naturali e culturali.