Tutti i principali temi trattati alla 29° Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici.
Dall’11 al 24 novembre 2024 si è tenuta la XIX Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici. Abbreviata come COP29, rappresenta il momento dell’anno in cui i leader dei Paesi di tutto il mondo, insieme a esponenti di aziende e organizzazioni, si riuniscono per discutere e confrontarsi su come affrontare la crisi climatica. Quest’anno è stata ospitata dall’Azerbaigian, nella capitale Baku.
La COP29 è il secondo dei tre vertici del 2024 sull’ambiente: biodiversità, cambiamenti climatici e desertificazione. A ottobre i nostri esperti si sono recati a Cali in Colombia per partecipare attivamente alla COP 16 sulla biodiversità e ora, tornati a casa, si stanno confrontando anche con gli esiti della COP29 sul clima. Nonostante ogni COP riguardi argomenti specifici, fanno tutte riferimento allo stesso ecosistema, influenzato sia dalla biodiversità che dai cambiamenti climatici. Leggere i risultati di questi incontri con uno sguardo più ampio ci aiuta a comprenderne meglio la complessità e la direzione politica.
Il ruolo delle COP: cosa ci dobbiamo aspettare da questi incontri?
Nonostante le critiche nell’ultimo decennio sull’utilità di questi vertici, vogliamo ricordare che le Conferenze delle Nazioni Unite sono un importante spazio politico, un contesto di governance globale unico in cui i Paesi collaborano specificamente su clima e ambiente, mantenendo vivo il dibattito sulla crisi climatica. In Etifor crediamo che, indipendentemente dal livello di soddisfazione per i risultati ottenuti o dalle critiche sulle modalità di esecuzione, rimangano strumenti indispensabili, soprattutto ora, in un momento storico in cui abbiamo bisogno di responsabilità politica e dialogo. Dalle COP non dobbiamo aspettarci soluzioni definitive per la crisi climatica, difficili da ottenere in due settimane di negoziati, piuttosto impegno politico, multilateralismo, confronto e bilanciamento tra bisogni di parti diverse del mondo.
Cosa è successo alla COP29 di Baku sui cambiamenti climatici?
Come per la COP16 sulla biodiversità, anche il vertice sui cambiamenti climatici del 2024 si è presentato come “la COP dell’azione”: ci si aspettava di tradurre in impegno concreto l’affermazione “Transition away from fossil fuels” della COP precedente. Il negoziato si è concentrato sulla finanza climatica, considerata l’unico strumento per concretizzare gli ambiziosi obiettivi della transizione energetica ed ecologica.
Finanza climatica
Nuovo obiettivo di finanziamento per il clima
Il momento più atteso e teso della COP29 ha riguardato la negoziazione del nuovo quadro di finanziamento per il clima: il New Collective Quantified Goal, ovvero il budget che i Paesi sviluppati, maggiormente responsabili delle emissioni di CO2eq, mettono a disposizione dei Paesi più poveri e colpiti dalla crisi climatica.
Questi finanziamenti mirano a rendere effettiva la transizione da un modello basato sui combustibili fossili a uno fondato su fonti energetiche alternative e a minore impatto ambientale. La “decarbonizzazione” è un processo costoso e impegnativo per tutti i Paesi, ma in modo particolare per quelli in via di sviluppo o con economie arretrate. Il Segretario esecutivo delle Nazioni Unite per i cambiamenti climatici, Simon Stiell, ha definito questo fondo una “polizza assicurativa per l’umanità”, aggiungendo: “Come ogni polizza assicurativa, funziona solo se i premi vengono pagati per intero e in tempo. Le promesse devono essere mantenute per proteggere miliardi di vite”.
Alla fine, a Baku, i Paesi in via di sviluppo hanno ottenuto una quota crescente di aiuti climatici, che dovrà raggiungere i 300 miliardi di dollari all’anno entro il 2035. Tuttavia, questa somma è stata giudicata deludente e inadeguata da molti Paesi aderenti alla Convenzione, soprattutto dai più vulnerabili, come i piccoli Stati insulari.
Il mix di fonti finanziarie: qualità > quantità
L’inadeguatezza non riguarda solo la quantità dei fondi, ma anche la loro qualità. Gli aiuti annuali richiesti dai Paesi in via di sviluppo ammontano a circa 1.300 miliardi di dollari, ma solo 300 miliardi saranno vincolati e provenienti da finanza pubblica a bassi interessi. La restante parte sarà raccolta tramite investimenti privati, fondi di banche multilaterali per lo sviluppo e finanza mobilitata (privata, ma garantita dagli Stati).
Sebbene la finanza privata sia uno strumento importante, rischia di rendere l’impegno dei Paesi sviluppati più incerto e vulnerabile al mercato. Progetti come quelli di adattamento climatico, che richiedono ingenti risorse e hanno un ritorno economico sul lungo termine, potrebbero faticare a ottenere finanziamenti, risultando poco appetibili per il settore privato.
Roadmap Baku-Belem
Per raggiungere un accordo a Baku, i vari Paesi hanno deciso di creare la “Roadmap Baku-Belem”, rivalutando l’impegno finanziario prima della COP30 a Belem, in Brasile. L’obiettivo sarà triplicare i fondi per l’adattamento climatico e creare un canale preferenziale per i Paesi meno responsabili della crisi climatica ma più colpiti: i Least Developed Countries (Paesi meno sviluppati) e le Small Island Developing States (Stati insulari in via di sviluppo).
Il ruolo dell’Europa e dei Paesi “in via di sviluppo”
Le COP, soprattutto quelle sul clima, sono spazi di negoziazione dove la geopolitica ha un peso rilevante. Durante questi eventi, si parla più di finanza che di scienza, e per questo la presenza di leader di spicco è fondamentale. Quest’anno ha colpito l’assenza di importanti figure mondiali come Joe Biden, Xi Jinping e Ursula von der Leyen.
Con l’elezione di Donald Trump e la promessa di uscire dagli Accordi di Parigi, l’Europa è diventata il principale portavoce dei Paesi sviluppati, mostrando però le difficoltà economiche causate dall’inflazione, dalla pandemia e dalle guerre vicine. L’Europa ha chiesto il coinvolgimento di Paesi in via di sviluppo che contribuiscono pesantemente alla crisi climatica, come Cina, Corea del Sud, Singapore, Qatar, Arabia Saudita ed Emirati i quali potranno partecipare al fondo su base volontaria, senza obblighi. Una mezza vittoria.
Crediti di carbonio sul mercato internazionale
Meritano un approfondimento a parte le indicazioni concordate durante la COP29 per quanto riguarda il mercato internazionale dei crediti di carbonio.
Nel mercato del carbonio la moneta di scambio sono i cosiddetti carbon credits, ovvero certificati equivalenti a una tonnellata di CO2eq non emessa o assorbita. Il credito di carbonio viene generato attraverso la realizzazione di un progetto che riduce o rimuove emissioni di CO2eq. Esempi di questi progetti includono la sostituzione di tecnologie energeticamente inefficienti con tecnologie più moderne ed efficienti, la produzione di energia rinnovabile, ad esempio attraverso impianti fotovoltaici, o attività di riforestazione.
Questi progetti devono rispettare alcuni criteri: essere certificati da uno standard di verifica indipendente, essere convalidati da un ente revisore terzo, rispettare il principio di addizionalità (il progetto non sarebbe esistito senza i finanziamenti derivanti dai crediti) ed essere presenti in un registro dei crediti di carbonio.
Alla COP29 di Baku, dopo un’attesa di dieci anni, sono stati definiti i termini dell’articolo 6 del trattato di Parigi, che riguarda gli scambi internazionali di crediti di carbonio, ovvero crediti che vengono scambiati tra soggetti di diversi Stati. Le novità sono due:
- Nuove regole per il mercato: definizione di nuove regole che i Paesi possono seguire per acquistare crediti da un altro Paese (regole non vincolanti, ovvero i Paesi non sono tenuti a rispettarle).
- Sistema di gestione della qualità: creazione di un sistema gestito dalle Nazioni Unite per valutare la qualità delle attività che generano i crediti. Queste attività possono essere anche finanziate dalle aziende per compensare parte delle proprie emissioni di CO2.
Il mercato dei carbon credits è un mercato complesso e delicato, che ha ricevuto diverse critiche e sollevato dubbi riguardo alla sua trasparenza ed efficacia nel mitigare la crisi climatica. L’accordo sui crediti di carbonio dimostra un interesse politico e una volontà internazionale di regolarlo e migliorarlo.
Tuttavia, come spiega il Carbon Market Watch, l’esito dell’articolo 6 a Baku ha creato un sistema complesso e non vincolante che rimanda la responsabilità dell’integrità di questo meccanismo agli attori individuali e direttamente coinvolti nella transazione:
“In assenza di una regolamentazione più efficace dall’alto, l’integrità degli attori individuali e il controllo attivo da parte di terzi saranno elementi decisivi per il successo o il fallimento di questi mercati.”
I progetti di Etifor
Come avevamo già puntualizzato per la COP16 sulla biodiversità, i crediti di carbonio non sono necessariamente il male assoluto o la risposta definitiva alla crisi climatica; devono essere però parte di una strategia ampia e basata sulla riduzione delle emissioni.
Per certificare la rimozione di CO2 che avviene grazie alle foreste, è possibile individuare due strumenti: le dichiarazioni ambientali e i crediti di carbonio. In entrambi i casi c’è sempre una parte, come ad esempio un’azienda, che sponsorizza i progetti forestali che generano le rimozioni certificate. Le dichiarazioni ambientali non sono trasferibili, ma vengono allocate con sponsorizzazione diretta, a differenza dei crediti che sono negoziabili all’interno del mercato, poiché acquistati da investitori e rivenduti.
Sia per le dichiarazioni ambientali che per i crediti di carbonio deve essere presente un ente certificatore. Nel caso delle dichiarazioni, però, l’ente – ad esempio il Forest Stewardship Council (FSC®)– verifica non solo la rimozione di CO2 effettuata dagli alberi, ma anche tutti i 5 servizi ecosistemici, ovvero la regolazione del ciclo idrico, la conservazione della biodiversità, del suolo e i servizi ricreativi. In questo modo si lavora sul benessere complessivo della foresta.
In Etifor preferiamo gestire la complessità della natura, piuttosto che semplificarla. Per questo ci affidiamo a dichiarazioni ambientali e non rivendiamo progetti già realizzati da altri, ma li sviluppiamo da zero grazie ai nostri esperti forestali e a un approccio basato sulla scienza.
L’esempio di Bosco Limite
Nel 2011, WOWnature, la nostra iniziativa dedicata a progetti di riforestazione ha piantato centinaia di alberi, dove prima c’era un campo di mais. Il progetto prende il nome di Bosco Limite ed è basato sul principio della biodiversità funzionale, che si concentra sulla varietà di funzioni svolte dagli organismi nell’ecosistema. Grazie a un sistema di canalette lunghe 1 km, Bosco Limite è in grado di filtrare molta acqua: ben 800 litri di acqua pulita nel terreno in un minuto. Gli alberi sono diventati una straordinaria risorsa per il territorio perché ricaricano le grandi riserve sotterranee di acqua potabile (falda acquifera) che usano migliaia di persone nella Pianura Padana.
Scopri tutti i progetti di WOWnature: https://www.wownature.eu/aree-wow-mappa/