Come possono le associazioni forestali contrastare la frammentazione del territorio e ridurre l’abbandono della gestione forestale?

Secondo i dati del Terzo Inventario Forestale Nazionale, in Italia i boschi e le altre terre boscate (arbusteti, boscaglie e formazioni rade) occupano una superficie complessiva di poco superiore agli 11 milioni di ettari (Mha), che corrisponde a quasi il 37% del territorio nazionale. Sempre secondo l’inventario, più del 60% delle foreste italiane si trova ad un’altitudine superiore ai 500 metri  ma, nonostante i boschi possano rappresentare un bene da cui possono scaturire diverse tipologie di filiere, negli ultimi decenni molti territori collinari e montani sono stati caratterizzati da fenomeni di spopolamento, spinti da varie cause, tra cui sicuramente hanno pesato le  scarse opportunità occupazionali. Tra le principali ragioni che limitano le opportunità economiche e sociali che potrebbero derivare dall’impiego delle risorse primarie di questi territori, vi sono sicuramente i problemi di frammentazione fondiaria che caratterizzano la maggior parte delle aree forestali italiane le cui dimensioni medie non superano gli 8 ettari. Questa frammentazione, che spesso risulta in una vera e propria polverizzazione delle proprietà private in un numero imprecisato di proprietari, rappresenta un fattore fortemente limitante per condurre una gestione forestale economicamente vantaggiosa, data l’alta incidenza dei costi destinati alla pianificazione e alle operazioni forestali. Per questo motivo, negli ultimi decenni, molti soprassuoli forestali sono stati completamente abbandonati a livello gestionale, favorendo così rilevanti conseguenze ambientali, aggravate dalla crisi climatica in atto. La mancanza di pianificazione, infatti, riduce la capacità degli ecosistemi forestali di fornire servizi ecosistemici, aumenta il rischio di conseguenze negative di tipo sociale, ambientale ed economico e aumenta la vulnerabilità delle foreste nei confronti di avversità naturali come gli incendi e gli eventi climatici estremi, come dimostra ciò che è accaduto proprio in Veneto e nelle Regioni limitrofe, nel 2018, quando la tempesta Vaia ha distrutto 8,5 M m3 di legname su 42500 ettari di boschi alpini, cui si sommano i danni ulteriori che ancora si stanno verificando ad opera dei parassiti, anche a causa della difficoltà ad intervenire su aree con pianificazione disomogenea o del tutto mancante.

Per rispondere agli effetti negativi della frammentazione fondiaria e per stimolare la conseguente gestione attiva delle foreste, possono essere utilizzati diversi strumenti. Tra questi la creazione di associazioni forestali, con il principale obiettivo di favorire collegamenti e il coordinamento tra proprietari forestali, rappresenta sicuramente lo strumento più comune, ma che allo stesso tempo, continua ad offrire numerosi spunti innovativi e di riflessione.

L’evoluzione dell’associazionismo forestale nel quadro normativo italiano

A livello normativo italiano, ormai da un secolo, forme associative tanto di tipo orizzontale (tra enti pubblici e soggetti privati) quanto di tipo verticale (tra produttori e industrie di prima lavorazione del legname) sono riconosciute come degli elementi fondamentali per favorire una gestione forestale efficiente.  Le strutture associative, infatti, anche sotto forma di consorzi, sono state proposte fin dal 1923 con il Regio Decreto n° 3267. Anche all’inizio degli anni 2000, tramite il Decreto Legislativo n. 227 del 18 maggio 2001, si è cercato di dare un ulteriore impulso a forme associative nel settore forestale. Questo decreto richiedeva alle regioni e agli enti locali la promozione di forme associative nel settore forestale per favorire una gestione dei soprassuoli boschivi più razionale ed efficiente. Come vedremo in seguito, in conseguenza di questo decreto, diverse regioni italiane hanno adeguato la propria legislazione forestale, promuovendo e supportando diverse tipologie di gestione associata delle aree forestali.

Anche negli ultimi anni, i due principali atti normativi relativi al settore forestale, il testo unico forestale (Decreto Legislativo n.34 del 03/04/2018), e la strategia forestale nazionale approvata a Febbraio 2022 (pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 9 Febbraio 2022), riconoscono l’associazionismo forestale come lo strumento più appropriato per migliorare le proprietà abbandonate e per ricostituire unità produttive economicamente sostenibili. Oltre a questi due decreti, vale la pena ricordare altri due atti di natura istituzionale che, in diversa misura, hanno dimostrato come la tematica relativa all’associazionismo rappresenti ancora un elemento cardine delle recenti politiche e strategie nazionali. Questi due recenti atti sono: (i) il bando di selezione delle proposte progettuali per la costituzione di forme associative o consortili di gestione delle aree silvo-pastorali e (ii) gli accordi di foresta inseriti in uno specifico articolo (35-bis), nel decreto legislativo semplificazioni (Decreto Legislativo n.77. del 31/05/2021). Il primo atto costituiva un finanziamento (totale di 5 milioni di euro) erogato direttamente dal MIPAAF per supportare la costituzione di forme associative di gestione di aree silvo-pastorali, mentre il secondo mira a fornire uno strumento negoziale, gli accordi di foresta appunto, tramite il quale due o più soggetti possono sancire e regolare forme di collaborazione finalizzate alla conduzione di azioni di gestione forestale e agroforestale, sostenibile ed efficiente.

L’associazionismo forestale nel quadro regionale

Proprio come a livello nazionale, anche a livello regionale, numerosi e diversi atti sono stati intrapresi per promuovere la formazione di associazioni forestali. Questi atti sono stati implementati sia nel contesto del Piano di Sviluppo Rurale (PSR), sia perché incentivati dal decreto nazionale N.227 del 2001. Partendo dalle misure incluse nel PSR, fino dagli anni 2000 (programmazione 2000-2006), buona parte delle regioni Italiane hanno previsto specifiche misure per il supporto alla creazione di associazioni forestali. Ad esempio, in Veneto, la Misura 9.6 (denominata Associazionismo forestale) all’interno del Piano di Sviluppo Rurale (PSR) 2000-2006 prevedeva “incentivi per la costituzione di associazioni di proprietari come strumento per incentivare una gestione forestale attiva delle proprietà private, caratterizzate troppo spesso da frammentazione e polverizzazione“. Grazie a questa misura, in Veneto, nel 2003, sono state create complessivamente 8 associazioni forestali. Ad oggi, solo due di queste associazioni sono ancora attive: (i) l’Associazione Forestale di Pianura (AFP) e l’Associazione Forestale Vicenza (AFV). Per entrambe le associazioni, la condivisione dei costi relativi alla pianificazione forestale e l’attuazione di specifiche azioni di lobbying sono state le principali ragioni che hanno spinto i singoli proprietari forestali ad associarsi. Se per l’AFP l’azione di lobbying è indirizzata alla ricerca e alla relativa promozione di investimenti privati a sostegno dell’erogazione di servizi ecosistemici forestali, nel caso dell’AFV le azioni di lobbying puntano principalmente ad organizzare la vendita congiunta di legname, in particolare di cippato a biomasse per impianti medio/grandi.

Per quanto riguarda, invece, normative di natura regionale che promuovono forme associative forestali, come richiesto dal Decreto Legislativo n. 227 del 18 maggio 2001, possiamo ricordare:

  • le comunità del bosco, promosse dalla Regione Toscana nell’articolo n.5 della Legge Regionale 11/2018[1];
  • le associazioni fondiarie (ASFO), promosse dalla Regione Piemonte, dalla Regione Lombardia e dalla Regione Friuli-Venezia Giulia.

Altre tipologie di modelli associativi

Parallelamente ai diversi modelli associativi promossi dalle Regioni e appena descritti, forme associative più tradizionali continuano a caratterizzare l’economia forestale di certi territori. I consorzi forestali, ad esempio, continuano ad essere attivi in molte aree montane e collinari, con un ruolo particolarmente significativo nel territorio lombardo, e tipicamente essi sono impiegati per la gestione tecnica e l’ottimizzazione della logistica dei lavori forestali. Le proprietà collettive forestali e agro-pastorali sono gestite nelle aree montane italiane da entità che vantano una lunghissima tradizione, soggetti di diritto privato riconosciuti come “Comunioni famigliari montane”, in cui sono confluite le antiche istituzioni come le Regole presenti in Veneto e in provincia di Trento, le vicinie in Friuli Venezia-Giulia, le Comunelle, le Comunanze, le Partecipanze.

A queste forme associative classiche, e a quelle regolamentate da specifiche legislazioni regionali, va sottolineato, come negli ultimi anni, si stia assistendo alla nascita di modelli associativi non sempre regolamentati da norme specifiche nazionali, ma che presentano caratteristiche assolutamente innovative per il settore. Questi modelli nascono per rispondere alle esigenze non solo dei proprietari forestali, ma anche delle più ampie comunità locali, attraverso un allargamento delle tipologie di soci che possono aderire alle forme associative, come ad esempio guide naturalistiche, attività ricettive e di ristorazione. Tra questi modelli possiamo ricordare le cooperative di comunità, che sono particolarmente diffuse soprattutto nelle regioni appenniniche. Al 30 giugno 2021 queste comunità sono più di 200, e, nonostante questo, ad oggi non esiste una definizione normativa nazionale dedicata a questo tipo di cooperative, benché siano già state intraprese iniziative legislative regionali (in Toscana, Emilia-Romagna, Abruzzo e Puglia).

Discussione e conclusioni

Questa sintetica analisi delle principali forme associative forestali esistenti nel territorio nazionale e dei diversi strumenti legislativi introdotti evidenzia come il quadro complessivo sia estremamente variegato ed in continua evoluzione. Ad oggi, infatti, non è possibile individuare un modello nazionale di riferimento, ma sicuramente le numerose esperienze maturate nei diversi contesti locali regionali possono rappresentare una rilevante fonte di esperienze (positive e negative) da trarre per il futuro. L’auspicio è che i modelli esistenti siano messi in rete affinché ogni forma associativa esistente possa identificare degli strumenti sviluppati in altri contesti, ma che possano risultare utili per il proprio territorio, contribuendo così a rinforzare le potenzialità di sviluppo delle aree forestali che, come si è visto, nella quasi totalità della superficie coincidono con aree montane. È inoltre fondamentale rimarcare come, nei prossimi anni, i modelli associativi potrebbero avere un ruolo nel massimizzare e valorizzare i servizi ecosistemici che una gestione forestale attiva e responsabile può generare. Infatti, forme associative possono contribuire a rendere uniforme e solida la verifica degli impatti di una gestione forestale attiva e sostenibile, facilitando il reperimento di fondi privati interessati ad investire sulla fornitura dei servizi ecosistemici. Tutte queste tematiche sono prese in considerazione dalla nuova Strategia Forestale Nazionale, la cui sfida, nei prossimi anni, sarà quella di coordinare i diversi modelli associativi esistenti a livello regionale e nazionale.

Autori

Nicola Andrighetto (Etifor), Giorgia Bottaro (UniPd), Francesco Loreggian (UniPd).

Articolo realizzato nel contesto del Progetto Carega (Iniziativa finanziata dal Programma di sviluppo rurale per il Veneto 2014-2020, misura 16).

Bibliografia

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Ferrara, C., Salvati, L., Corona, P., Romano, R., Marchi, M. (2019). The background context matters: Local-scale socioeconomic conditions and the spatial distribution of wildfires in Italy, Science of The Total Environment

Pettenella D. (2013) Le nuove sfide per il settore forestale. Mercato, energia, ambiente e politiche. Quaderni Gruppo 2013, Ed. Tellus, Roma.

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