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La biodiversità nella Ue sfida per le imprese tra costi e benefici

Per la prima volta l’Unione si dota di una legge per il ripristino della natura. Secondo Bcg gli oneri iniziali saranno compensati dai profitti. Nasce la piattaforma delle aziende italiane all’avanguardia

di Chiara Bussi

4' di lettura

Il fermo immagine è sul 27 febbraio scorso. Nel bel mezzo della protesta dei trattori e con il voto contrario del Partito popolare europeo l’Europarlamento ha dato il via libera alla prima legge Ue sul ripristino della natura, il regolamento Nature restoration law. È uno dei testi-chiave del Green Deal e mette nero su bianco gli impegni europei per rispettare il Quadro nazionale sulla biodiversità sancito dall’Onu nel 2022 a Montreal.

Gli occhi sono ora puntati sul Consiglio Ue che sarà chiamato a dare l’ok definitivo, con ogni probabilità ad aprile. Se non ci saranno colpi di scena, il provvedimento entrerà direttamente in vigore nei Ventisette 20 giorni dopo la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale europea. Esultano gli ambientalisti, protestano (ancora) gli agricoltori. È un percorso tortuoso quello della tutela della biodiversità in Europa: fattore chiave per la riduzione delle emissioni, ma al tempo stesso fonte di preoccupazione per il potenziale impatto economico delle nuove misure. Ce la faranno le imprese a stare al passo, tra costi e i benefici?

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Se oggi - come sottolinea la Commissione Ue – circa l’80% degli habitat europei versa in cattive condizioni la nuova legge fissa tre grandi tappe con obiettivi vincolanti per ripristinare il buono stato di salute di foreste, praterie, zone umide, laghi, fiumi ed ecosistemi marini: il 30% entro il 2030, il 60% entro il 2040 e il 90% entro il 2050. Particolari sforzi saranno richiesti al settore agricolo che dovrà focalizzarsi su tre indicatori: miglioramento dell’indice delle farfalle comuni, percentuale di superficie con elementi caratteristici del paesaggio con elevata diversità, stock di carbonio organico nei terreni minerali coltivati. Anche le città dovranno fare la loro parte in termini di spazi verdi e copertura arborea.

Entro il 2026 i Ventisette dovranno adottare piani nazionali di ripristino in cui indicheranno nel dettaglio in che modo intendono raggiungere gli obiettivi. Dovranno anche inviare a Bruxelles rapporti annuali sui progressi e sull’attuazione delle misure previste. E in caso di mancato rispetto degli obiettivi rischieranno una procedura d’infrazione. Rispetto al testo presentato dalla Commissione Ue nel giugno 2022 quello definitivo contiene alcune modifiche che vanno incontro alle preoccupazioni del mondo agricolo. È previsto, ad esempio, il cosiddetto freno di emergenza: in circostanze eccezionali gli obiettivi relativi agli ecosistemi agricoli potranno essere sospesi se ridurranno la superficie coltivata al punto da compromettere la produzione alimentare e renderla inadeguata ai consumi Ue.

«Gli impatti del cambiamento climatico sull’uomo, sulla biodiversità e sugli ecosistemi – sottolinea Fabio Alberto Favorido, principal di Bcg - sono rilevanti per le aziende di ogni settore, poiché hanno conseguenze dirette anche sulla loro attività economica. Oltre il 50% del Pil mondiale dipende infatti direttamente o in parte dalla natura: pensiamo alla fornitura di materie prime, alle risorse idriche o all’ impollinazione». La nuova legge europea, fa notare, «non è priva di impatti economici, in particolare per le misure che alcuni operatori dovranno implementare per raggiungere gli obiettivi prefissati». Le imprese nei settori agricolo, ittico e agro-alimentare, spiega, «dovranno infatti cambiare il proprio modo di operare lungo l’intera catena del valore, adottando pratiche rigenerative a scapito di quelle intensive».

Uno stop che costerà caro, almeno inizialmente: secondo le stime di Bcg in Europa gli oneri di transizione verso pratiche di agricoltura rigenerativa «determineranno un calo iniziale dei profitti fino al 50%, più che compensati nel medio periodo con profitti per ettaro oltre al 40% superiori rispetto alle pratiche agricole convenzionali». Questi costi di transizione, aggiunge,«si configurano quindi come un investimento non solo per le società ma anche per il pianeta». La stessa Commissione Ue stima che ogni euro investito nel ripristino dei terreni offrirebbe un rendimento tra 8 e 38 euro. Non solo. «Porsi come leader della biodiversità - afferma Favorido - permette di trarre vantaggio competitivo, grazie all’accesso a nuovi mercati di prodotti e servizi sostenibili e alla riduzione dei costi attraverso catene di fornitura più resilienti basate sulla natura». E porterà a una serie di benefici interconnessi, come la cattura delle emissioni di CO2, la maggiore protezione da calamità naturali dovute al cambiamento climatico e l’aumento della sicurezza alimentare. «Indirettamente - conclude - la nuova normativa può avere impatti positivi sulla vita umana e la sua salvaguardia».

Proprio per chiamare all’azione il settore privato lo scorso ottobre è nato l’Italian Business&Biodiversity working group, su iniziativa di Etifor, spin off dell’Università di Padova, Forum per la finanza sostenibile, Regione Lombardia e European Business & biodiversity platform. Hanno già aderito un’ottantina tra imprese e fondi di investimento. «L’Italia - ricorda l’ad di Etifor Alessandro Leonardi - è il Paese Ue con il più alto tasso di biodiversità e preservarla è una priorità: le imprese devono capire il nesso tra la sua tutela e la sostenibilità del business dal punto di vista economico». E snocciola alcuni dati: se le aziende italiane investissero nel ripristino e salvaguardia della biodiversità 93 euro all’anno per ogni milione di fatturato sarebbe possibile raggiungere l’obiettivo ambizioso fissato dal nuovo regolamento Ue al 2050. «Il costo annuale per sostenere azioni di recupero - spiega Leonardi - è pari a 260 milioni di euro, ovvero lo 0,013% del Pil nazionale, ma i benefici economici complessivi da qui a metà secolo per l’Italia sarebbero di circa 70 miliardi di euro». L’obiettivo della piattaforma è supportare le imprese nella definizione di modelli di business con un approccio nature positive, cioè orientato ad arricchire la biodiversità, e promuovere partnership tra pubblico e privato». Non solo. «Puntiamo - conclude Leonardi - a partecipare alla prossima Cop sulla biodiversità in Colombia in autunno con un gruppo di imprese italiane impegnate su questo fronte».

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